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La Via Salka

Che cosa significa la parola Salka? Sul vocabolario Quechua troviamo la parola Salq’a tradotta come Salvaje (selvaggio) o Loco (pazzo, folle). Dunque via selvaggia o via folle?
Nessuna delle due e entrambe allo stesso tempo Per gli iniziatori del termine Salka, si intende l’energia non addomesticata, energia libera, armonica, governata dalle fonti di natura.
Salka è il serbatoio da cui possiamo attingere la forza o potere personale, non nell’accezione comune di potere basato sul possesso e sull’accumulo, ma un potere che si esprime nella persona come forza magnetica, carisma, intento e che si percepisce come pienezza emotiva e amore.
Una forza capace, per esempio, di sciogliere i blocchi sedimentati a causa di un eccessivo uso di energia addomesticata.
Dal momento della nostra nascita veniamo addomesticati, cioè limitati. Alla nascita un bambino è un "tutto", immaginiamo un cerchio perfetto, ove tutte le possibilità si dispiegano in lui. Ma da subito egli viene educato, ovvero certe parti di lui vengono sacrificate al fine di un miglior adattamento sociale o molto spesso per soddisfare le ambizioni di uno o di entrambi i genitori. In questo processo parte dell’energia originale dell’individuo viene mutilata.
Ai bambini si dicono frasi del tipo “non toccare la terra che ti sporchi !” oppure “non stare lì che c’è troppo vento”.
Ingiunzioni del genere limitano la sua capacità di stabilire un proprio contatto con gli elementi di natura, con l’universo e soprattutto ledono la sua capacità di sentire.
L’obbiettivo della Via Salka è aiutarci a ricordare per ricontattare parti dimenticate e mutilate di noi. Il processo tramite cui un apprendista si inizia alla via non è di apprendimento teorico bensì di ricordo, mentre le pratiche che svolge sono atte a far si che il corpo si apra ai ricordi poiché
nella cultura sciamanica il corpo tutto è sede di memoria, volontà e intuizione.

I Tre Poteri

Per gli Andini tutto è energia, e l’uomo è un conglomerato di filamenti ove l’energia scorre come l’acqua in un torrente di montagna.
I tre poteri potrebbero definirsi come i centri di sviluppo dell’energia ma anche le porte dei serbatoi.
Ho assistito allo “svitamento delle porte”, un semplice esercizio durante il quale si fa uscire tutta l’energia dai tre centri della persona svitandone le porte con le mani. Il risultato è che la persona prescelta stramazzi a terra senza più forze ma in uno stato di totale lucidità. Quando le porte vengono aperte la persona non ha più linfa, non possiede più forza vitale.
Questa tecnica dimostra quanto l’uomo sia energia e che questa energia è governata dai tre poteri.
Llankay: è il centro della pancia, vi corrisponde il potere fisico, ma anche la volontà e la capacità di lavorare e organizzare. Il tukuy llankay nyu è il grande potere del lavoro che possiede chi governa e amministra un gruppo o una comunità.
Munay: è il centro del cuore, potere del sentimento. È il primo potere che viene conferito nel karpay (iniziazione) andino. Senza munay gli altri poteri possono volgersi verso la strada che non ha un cuore e quindi diventare pericolosi per l’individuo stesso.
Llachay: è il potere della comprensione e della intuizione. Il Tukuy llachay è il potere che si attribuisce al saggio, al veggente e al capo spirituale di gruppo e di comunità.

I Tre Mondi

Tanto fuori quanto dentro così in alto come in basso, la triplice divisione non riguarda solo l’uomo e i suoi poteri ma anche l’universo percettibile che ci circonda .
Così esistono mondi nei mondi a cui abbiamo accesso nel fluire dell’esistenza.
Non esiste una gerarchia fra i mondi , tutti sono importanti perché in essi risiedono i nostri archetipi. Nella tradizione andina non esiste il concetto di inferno e paradiso, di male o di peccato. Tutto viene visto nei termini pragmatici di energia fluida o bloccata e pesante.

 Nello sciamanesimo Andino I tre mondi sono:
 UKU PACHA: il mondo di sotto, l’oscuro, il non visto, l’inconscio, le viscere della terra
IL GUERRIERO CHE COMBATTE BENDATO
 KAI PACHA: questo mondo, le relazioni sociali la comunità, il conscio
IL GUERRIERO CHE SI MUOVE NELLA CITTA’
 HANAQ PACHA:    il mondo di sopra, lo spirito, l’energia pura, la supercoscienza
IL GUERRIERO CHE DIVENTA UN MISTICO

I mondi sono in una continua relazione tra loro, non è possibile essere solo in un mondo, anche lo sciamano rientra dai suoi viaggi nelle altre dimensioni dell’esistenza per portare aiuto concreto alla comunità dove vive.

Pachamama

“L’uomo moderno si è dimenticato di sua madre, Pachamama, colei che lo sostiene, lo nutre e lo accoglie: per questo è infelice!”
La Terra è vista come elemento di proprietà, si può vendere, recintare, perforare, sporcare inquinare.
Pachamama è per gli sciamani non solo un essere vivente meritevole di rispetto, ma una madre meravigliosa capace di trasformare, assorbire e sanare.
La Madre Terra è un’assistente generosa dello sciamano capace di assorbire Ucha (energia pesante) Quando ci sentiamo stanchi o stressati a volte abbiamo semplicemente un eccesso di Energia pesante da scaricare e allora possiamo consapevolmente chiedere aiuto a Pachamama e lasciare che assorba tutta la stanchezza.
Ritornare alla consapevolezza e all’amore per Pachamama è ciò che ti rende mago, ed è il primo insegnamento della via Salka. Questo ci permette di ritrovarci , perché troviamo le nostre radici e un senso dell’essere qui che va oltre al mutabile ego e che ci colloca in questo mondo per quello che realmente siamo: meravigliosi e misteriosi.

Dalla testa al cuore

Il compito più difficile per uno sciamano andino nei confronti di un discepolo occidentale, è insegnargli a vedere (non è la stessa cosa di guardare!) che, effettivamente, il Kausay (energia vitale) sta in ogni parte.
Una cosa è credere che tutto è vivo, un’altra ben diversa è “vederlo” e “sentirlo”.
Per giungere a questo il primo passo da imparare consiste nell’abbassare la carica energetica dalla testa al cuore.
Il continuo chiacchierare della mente è ciò che radica gli uomini al mondo quotidiano.
Il mondo è in “questo” o in “quel” modo solo perché noi ripetiamo continuamente a noi stessi che è così.
Viviamo in un mondo meraviglioso, ma ne possiamo veramente afferrare la magia solamente quando abbandoniamo la stupida presunzione di poter controllare tutto, di poter catalogare ogni cosa o essere.
Il miracolo inizia quando gli occhi si trasformano da “spie delle mente” a “finestre del cuore”.
Quando il nostro dialogo interno prende una pausa e incominciamo a guardare il mondo come un mistero: un fiore, un albero, un fiume, gli occhi della persona amata… lentamente cambiano i contorni e incominciamo a “vedere”.
A volte quando scendiamo dalla testa al cuore incontriamo le lacrime, sono le antiche ferite nascoste e mal curate, veri e propri blocchi energetici, che per pulirsi tornano a sanguinare. Questo è un grande atto terapeutico, l’energia ricomincia a fluire e le lacrime vanno a nutrire Pachamama.

Mangiare energia pesante

Le reazioni che ci sono state insegnate in caso di aggressione vera o presunta, sono due:
attacco o fuga.
Dagli sciamani andini, maestri dell’utilizzo dell’energia, ne impariamo una terza: mangiare la rabbia dell’aggressore!
La rabbia è Ucha, energia pesante e inquinata, se la mangiamo al nostro aggressore lui si calma e noi, poi, la scaricheremo sulla Pachamama che, come sempre, si occuperà della sua trasformazione.
Viceversa la reazione “occhio per occhio” tende a far aumentare la Ucha in una spirale perversa che conduce allo scontro.
Abbassare il livello di energia pesante oggi è nostra responsabilità, nessuna rivoluzione violenta è sfociata in un sentiero di pace, nessuna guerra santa ha ristabilito le leggi dell’amore.

Intento

Le tecniche di utilizzo dell’energia sono solo gesti vuoti se non sono caricate di intento.
L’intento non è logico, è un atto totale, non ha spiegazioni ma solo risultati.
Per incominciare a ricordare l’intento è necessario rinunciare alla assurda pretesa di poter spiegare ogni cosa, nella convinzione illusoria che possiamo tenere il controllo sul mondo, ma recuperare la freschezza e la magia del nostro bambino interiore, che non si domanda ma agisce per la pura gioia di farlo.
L’intento si esprime quando abbassiamo la nostra energia dalla testa al cuore: questo gli permette di essere alimentato dall’energia del Qosqo. Quando prevale nell’individuo il dialogo interno c’è un sovraccarico nel potere dello llachay. La mente funziona a gran velocità e brucia un quantitativo incredibile di energia a scapito degli altri centri. Infine così sovraccaricata risulta fissata e bloccata e non lucida, non esercita quindi le funzioni che dovrebbe e in ultima analisi non serve a nulla.
La meditazione come esercizio per la cessazione del dialogo interno è un buono strumento per ricordare e rafforzare l’intento.
Il servizio e la dedizione totale, vissute con consapevolezza e non per compiacere, aiutano infine a diminuire il nostro senso di importanza. Quando i maestri sulle Ande accettano qualcuno come apprendista, gli fanno svolgere per anni i compiti più umili. Non di rado un allievo deve servire la cena al maestro e ai suoi amici, e lo fa nella maniera migliore, con totale dedizione, non si sente umiliato o sfruttato perché sa che sta pulendo il suo intento e lo sta rendendo impeccabile.
Allo stesso modo il maestro di tanto in tanto si trasforma in umile servitore del suo allievo, come Cristo che lava i piedi ai discepoli, per ricordare a sé stesso che egli è nulla.

Il mondo è una proiezione

Il continuo e spossante dialogo interno è responsabile della creazione del mondo intorno a noi ma per creare questo mondo sprechiamo moltissime energie. In che modo creiamo il mondo? Tutti i giorni lo facciamo. Vediamo una persona per la prima volta: subito ne osserviamo il portamento, il vestito, ne ascoltiamo la voce e già “ci facciamo una idea”. Se veste bene possiamo pensare che è ricca e raffinata, se queste cose sono importanti per noi diciamo che ci piace o viceversa non ci piace.
L’educazione è spesso un restringimento della coscienza, nasciamo infiniti e misteriosi per diventare presto limitati e prevedibili.
L’energia addomesticata ci ha trasformato in esseri limitati alla ricerca continua di sicurezza, spaventati dall’incerto e dal mistero, grandi anime che si identificano in ruoli limitanti.
E quando osserviamo il mondo, ne osserviamo solo la proiezione che ne facciamo sul nostro schermo personale.

La meditazione ovvero spegnere il dialogo interno

Sulla meditazione sono stati scritti migliaia di testi, sviluppate tecniche e posizioni, ma che cosa è meditare? Nel cammino Salka è semplicemente interrompere il dialogo interno ed entrare in uno spazio DENTRO, di pace, di infinito e di mistero. Noi siamo come l’oceano, FUORI è increspato e agitato, mentre nelle profondità è calmo e tranquillo. Meditare è immergersi nelle profondità del nostro oceano, lì cessano le normali dimensioni spazio temporali. Cessa la separazione dal tutto e diveniamo UNO con l’universo di energia di cui siamo parte. Si può meditare sulle rive di un fiume e sperimentare il diventare acqua oppure su una roccia e diventare roccia, ma si può meditare anche sul cavalcavia di una autostrada, il rumore dei motori si trasforma nel mantra che ci porta DENTRO.
Le tecniche della Via Salka sono semplici e ispirate da un sano pragmatismo. Possono essere applicate nella vita quotidiana, sono l’attitudine corretta con la quale entriamo in contatto con il creato. Esse ci insegnano a concepire l’esistenza in maniera Salka, e ci aiutano a realizzare che la vita stessa è Meditazione.
“Non ci sono regole, l’unica cosa che conta è interrompere il dialogo interno. Lo puoi fare camminando, come quell’indio che porta al pascolo il suo gregge, lo richiama e lo raduna con piccoli gesti, sempre uguali camminando per gli impervi sentieri andini, …ebbene lui sta meditando.”

Maurizio Balboni                                                          torna su