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26.10.2009
Conclusioni Generali di Carlos Castaneda

Prologo alla terza edizione spagnola del libro " Las Ensenanzas de Don Juan" scritto da Castaneda nel 1998 è considerato il suo testamento spirituale

 “Gli insegnamenti di Don Juan: la via Yaqui della conoscenza” è stato pubblicato per la prima volta nel 1968 ( prima edizione spagnola 1974). In occasione del trentesimo anno dalla sua pubblicazione, mi piacerebbe apportare qualche chiarimento sulla opera medesima e formulare alcune conclusioni generali rispetto al tema del libro, considerazioni a cui sono giunto in anni di sforzi seri e consistenti.
Il libro fu il risultato di un lavoro antropologico sul campo realizzato negli stati di Arizona (USA) e Sonora (Messico). Durante il mio corso di studi per il dottorato di Antropologia alla Università di California, conobbi per caso un vecchio sciamano, un indio Yaqui dello stato di Sonora. Il suo nome era Juan Matus.
Consultai molti professori del dipartimento di Antropologia circa la possibilità di svolgere un lavoro antropologico servendomi del vecchio sciamano come fonte di informazione. I professori cercarono di dissuadermi basandosi sulla convinzione che prima di svolgere un lavoro sul campo avrei dovuto dare la priorità ai corsi di requisito accademico in generale e compiere le formalità richieste dagli studi del dottorato, come gli esami scritti e gli orali.
I professori avevano ragione e non dovettero persuadermi perché io seguissi la logica dei loro consigli.
C’era però un professore, il dott. Clemente Meigham, che incitava apertamente i miei interessi nello svolgere il lavoro sul campo. E’ a lui che devo tutto il mio ringraziamento per avermi ispirato a portare a temine la mia investigazione antropologica. Fu l’unico che mi spinse ad immergermi profondamente nella opportunità che mi si era aperta davanti.
La sua esortazione si basava sulla esperienza personale nel lavoro di campo che egli aveva come archeologo. Mi disse che, attraverso il lavoro sul campo, aveva scoperto che i tempi stringevano e che restava poco tempo prima che aree di conoscenze enormi e complesse, giunte a noi attraverso culture e generazioni, si perdessero per sempre, inghiottite dall’impatto della tecnologia e delle correnti di filosofie moderne.
Mi diede come esempio il lavoro svolto da alcuni riconosciuti antropologi della fine del secolo XIX e inizio secolo XX, che avevano collezionato, con grande rapidità, dati etnografici sulle culture indigene americane delle pianure e della California. La loro fretta era giustificata dato che nel giro di una generazione, le fonti di informazione su queste culture indigene si persero, soprattutto le culture indigene della California.
In quello stesso tempo ebbi la fortuna di seguire i corsi con il professor Harold Garfinkel, del dipartimento di sociologia della UCLA. Egli mi fornì il paradigma etnometodologico più straordinario, nel quale le azioni pratiche della vita quotidiana erano il tema autentico per il discorso filosofico, e qualsiasi fenomeno che si fosse trovato durante l’investigazione, doveva essere esaminato nella sua propria luce, in accordo con le sue regole e la sua consistenza.
Se c’erano regole o leggi da stabilire, esse dovevano essere proprie del fenomeno stesso. Per cui, le azioni pratiche degli sciamani, viste come un sistema coerente con regole e configurazioni proprie, erano temi degni di una seria investigazione. Tale investigazione non doveva essere sottomessa a teorie elaborate a priori, nè comparata con il materiale ottenuto da fondamenti filosofici diversi.
Sotto l’influenza di questi due professori, mi coinvolsi profondamente nel mio lavoro sul campo. Le due forze che mi spingevano provenienti dal contatto con questi due uomini, erano le seguenti: la prima si basava sul fatto che rimaneva poco tempo prima che i processi di pensiero delle culture indigene americane andassero perduti nel groviglio della tecnologia moderna; e la seconda era che il fenomeno sotto osservazione, qualunque esso fosse, era un tema genuino per
 l‘investigazione e meritava attenzione e serietà da parte mia.
Mi immersi a tal punto nel mio lavoro di campo che sono sicuro che alla fine, delusi la stessa gente che mi patrocinava. Finii in un campo che era terra di nessuno. Non era né tema di antropologia o sociologia, né di filosofia o religione. Avevo seguito le regole e le configurazioni proprie del fenomeno, ma non avevo avuto la capacità di risalire  alla superficie in un luogo sicuro. Di conseguenza, mi arrischiai in uno sforzo totale fino a cadere dalle scale accademiche appropriate, quelle che misurano il tuo valore o la carenza di questo.
La descrizione irriducibile di ciò che ho realizzato durante il mio lavoro sul campo, consisterebbe nel dire che lo sciamano yaqui don Juan Matus mi introdusse nella cognizione degli sciamani dell’antico Messico. Per cognizione intendo i processi responsabili della coscienza della vita quotidiana, processi che includono la memoria, l’esperienza, la percezione e l’uso esperto di qualsiasi sintassi data.
In quel momento, Il concetto della cognizione era, per me, l’ostacolo più grande. Mi risultava inconcepibile, come uomo intellettuale occidentale, che la cognizione, tale come la definisce il discorso filosofico del nostro tempo, potesse essere qualcosa di più che una materia omogenea e includente la totalità dell’umanità. L’uomo occidentale è disposto a considerare le differenze culturali che spiegherebbero le maniere singolari di descrivere i fenomeni, ma le differenze culturali non potrebbero spiegare come i processi della memoria, dell’esperienza, della percezione e l’uso esperto della lingua siano diversi dai processi che conosciamo.
In altre parole, per l’uomo occidentale, la cognizione esiste solo come un gruppo di processi generali. Per i veggenti del lignaggio di don Juan esiste la cognizione dell’uomo moderno ed esiste la cognizione degli sciamani dell’antico Messico. Don Juan considerava questi due come interi mondi della vita quotidiana, che erano intrinsecamente distinti l’uno dall’altro. Ad un certo punto, e senza rendermene conto, il mio compito cambiò misteriosamente dalla semplice raccolta di dati antropologici alla interiorizzazione dei nuovi processi cognitivi del mondo degli sciamani. 
La genuina interiorizzazione di tali concetti implica una trasformazione, una risposta diversa al mondo quotidiano. Gli sciamani scoprirono che l’impulso iniziale di questa trasformazione accade sempre come una sorta di alleanza intellettuale a un qualcosa che sembra essere solo un concetto, che possiede, però, potenti e insospettate correnti di fondo. Questo fu meglio descritto da don Juan quando diceva “ Il mondo di tutti i giorni non può essere visto come qualcosa di personale che ha potere su di noi, come qualcosa che può crearci o distruggerci, perché il campo di battaglia dell’uomo non è nella lotta con il mondo che lo circonda. Il suo campo di battaglia è sopra l’orizzonte, in un’area che è impensabile per l’uomo comune, l’area dove l’uomo cessa di essere uomo”.
Egli spiegò queste affermazioni dicendo che era un “ imperativo energetico” per tutti gli esseri umani rendersi conto che l’unica cosa importante è l’incontro con l’infinito. Don Juan non ha potuto ridurre il termine infinito ad una descrizione più maneggiabile. Disse che era energeticamente irriducibile. Era un concetto che non si poteva personificare e nemmeno alludere, salvo con l’uso di un termine tanto vago come “L’Infinito”. A quel tempo ero ignaro che Don Juan non mi stava dando solamente un’attraente descrizione intellettuale; in realtà mi stava descrivendo qualcosa che lui chiamava “un fatto energetico”.
Per lui, gli atti energetici erano le conclusioni alle quali erano giunti lui e gli altri sciamani del suo lignaggio, nel coinvolgersi nella pratica di una funzione che avevano chiamato “vedere”: cioè l’atto di percepire l’energia direttamente come fluisce nell’Universo. La capacità di vedere l’energia in questa maniera risulta uno dei punti culminanti dello sciamanesimo.
Secondo Don Juan, il lavoro di introdurmi nelle cognizioni degli sciamani dell’antico Messico fu realizzato in maniera tradizionale, o per meglio dire, ciò che lui mi fece fu ciò che era stato fatto a tutti gli sciamani iniziati nel corso del tempo. L’interiorizzazione dei processi di un sistema cognitivo diverso iniziava sempre richiamando la attenzione totale degli apprendisti sciamani sul rendersi conto che siamo esseri che moriranno. Don Juan e gli altri sciamani del suo lignaggio credevano che la comprensione totale di questo fatto energetico, questa verità irriducibile, avrebbe condotto alla accettazione del nuovo sistema cognitivo.
Il risultato finale che gli sciamani come Don Juan Matus proponevano ai loro discepoli era rendersi conto di qualcosa che, per la sua semplicità, era così difficile raggiungere: siamo esseri che moriremo. Per tanto, la vera lotta dell’uomo non è la lotta con il suo prossimo, ma con l’infinito, e questa, se vogliamo, non è nemmeno una lotta; ma piuttosto, nella sua essenza, un assenso. Volontariamente dobbiamo acconsentire all’Infinito. Nella descrizione dei veggenti, le nostre vite hanno origine nell’infinito ed è lì dove terminano, dove si originarono: nell’infinito.
La maggior parte dei processi che ho descritto nella mia opera pubblicata, aveva a che vedere con l’andirivieni della mia persona, un essere sociale, sotto l’impatto di nuovi fondamenti. Nella situazione del mio lavoro sul campo, ciò che stava avvenendo era qualcosa di molto più urgente che un semplice invito ad interiorizzare i processi di questa nuova concezione sciamanica, era un vero e proprio compito. Dopo anni di lotta in cui ho cercato di mantenere intatti i limiti della mia persona, questi limiti cedettero. Lottare per conservarli era un atto senza senso, visto quel che don Juan e gli sciamani del suo lignaggio volevano fare. Era, comunque, per me, un atto molto importante, alla luce delle mie necessità, era il bisogno di tutte le persone civilizzate: mantenere i limiti del mondo conosciuto.
Per don Juan, il fatto energetico che costituiva la pietra angolare della concezione degli sciamani dell’antico Messico era che ogni sfumatura del cosmo è un’espressione di energia. Dal vedere l’energia direttamente, questi sciamani arrivarono alla conclusione energetica che l’intero cosmo è composto da forze gemelle che sono, allo stesso tempo, opposte e complementari tra loro. Chiamarono queste due forze energia animata ed energia inanimata. Videro che l’energia inanimata non aveva coscienza. Per gli sciamani, la coscienza è una condizione vibratoria dell’energia animata.
Don Juan disse che gli sciamani del Messico antico furono i primi nel rendersi conto che tutti gli organismi della terra posseggono energia vibratoria. Li chiamarono esseri organici, e si resero conto che è proprio l’organismo che stabilisce la coesione e i limiti di tale energia. Scoprirono anche che esistono conglomerati di energia vibratoria animata che posseggono coesione propria, liberi da legami di un altro organismo. Li hanno chiamati esseri inorganici, e li descrissero come cumuli di energia coesiva, invisibile all’occhio umano, un’energia che è cosciente di sé stessa e che possiede un’unità determinata a causa di una forza agglomerante diversa da quella di un organismo.
Gli sciamani del lignaggio di don Juan videro che la condizione essenziale dell’energia animata, organica o inorganica, è quella di trasformare l’energia dell’universo in dati sensoriali. Per gli esseri organici, questi dati sensoriali sono a loro volta trasformati in una sistema di interpretazione, nel quale si classifica l’energia in generale e si assegna una risposta precisa a ogni classificazione, qualunque essa sia.  Ciò che affermarono i veggenti è che, nel regno degli esseri inorganici, i dati sensoriali in cui gli esseri inorganici trasformano l’energia in generale, devono essere comunque, per definizione, interpretati da loro, anche se incomprensibili.
Per gli esseri umani, nella logica degli sciamani, il sistema per interpretare i dati sensoriali, è la loro cognizione. Sostengono che la cognizione umana può  essere interrotta temporaneamente, poiché è solo un sistema di tassonomia nel quale le risposte sono state classificate insieme alla interpretazione dei dati sensoriali. Quando avviene questa interruzione, affermano i veggenti, l’energia può essere percepita direttamente, cosi come fluisce nell’universo. I veggenti descrivono il percepire dell’energia come se l’effetto fosse quello di vederla con gli occhi, anche se gli occhi intervengono solo in forma minima.
Poter percepire direttamente l’energia, permise agli sciamani del lignaggio di don Juan di vedere gli esseri umani come conglomerati di campi di energia che hanno l’apparenza di sfere luminose. Osservare gli esseri umani in questa maniera permise loro di arrivare a conclusioni straordinarie. Notarono che ognuna di queste sfere luminose è connessa, individualmente, a una massa energetica di proporzioni inconcepibili che esiste nell’universo. Osservarono che ogni sfera individuale è unita al mare oscuro della coscienza in un punto che è ancora più brillante della stessa sfera luminosa. Essi chiamarono questo punto di unione il punto di incastro perché osservarono che è questo il punto in cui avviene la percezione. Il flusso generale dell’energia viene qui trasformato in dati sensoriali che saranno poi interpretati come il mondo che ci circonda.
Quando ho chiesto a don Juan che mi spiegasse come avveniva questo processo di trasformazione del flusso di energia in dati sensoriali, mi rispose che l’unica cosa che gli sciamani sanno al rispetto è che l’immensa massa di energia, chiamata il mare oscuro della coscienza, proporziona agli esseri umani tutto il necessario per produrre la trasformazione di energia in dati sensoriali e che tale processo non sarebbe mai stato possibile decifrarlo data la vastità della fonte originale.
Quel che scoprirono gli sciamani del Messico antico quando impararono a vedere nell’oscuro mare della coscienza fu la rivelazione che tutto il cosmo è composto da filamenti luminosi che si estendono infinitamente. Dicono che questi filamenti luminosi si dirigono in tutte le direzioni senza mai toccarsi l’uno con l’ altro. Realizzarono che sono filamenti individuali e che possono raggrupparsi in masse di grandezze inconcepibili. Oltre all’oscuro mare della coscienza, osservarono altre masse di filamenti che amavano per la loro vibrazione e che chiamarono intento, così come chiamarono l’atto di ogni sciamano di mettere a fuoco la loro attenzione su tale massa, intentare. Videro che l’universo intero era un universo di intento e per loro l’intento era l’equivalente della intelligenza. L’universo era, quindi, per loro, un universo di intelligenza suprema.
La conclusione a cui arrivarono, e che divenne in parte il loro mondo cognitivo, era che l’energia vibratoria, cosciente di sé stessa, era intelligente. Videro che la massa di intento nel cosmo era responsabile di tutte le mutazioni possibili, tutte le variazioni possibili che avvenivano nell’universo, non erano a causa di circostanze arbitrarie, ma dovute all’intento eseguito dall’energia vibrante, a livello del flusso dell’energia stessa.
Don Juan precisò che nel mondo della vita quotidiana, gli esseri umani utilizzano l’intento e il tentare, nella maniera di interpretare il mondo. Don Juan per esempio, mi chiamò l’attenzione sul fatto che il mio mondo quotidiano non era retto dalle mie percezioni, ma dalla interpretazione della mie percezioni. Mi fece un esempio con il concetto dell’università che in quel momento era un tema di suprema importanza per me. Disse che l’università non era qualcosa che io potevo percepire con i miei sensi, perché né la mia vista, né il mio udito, né il gusto, il tatto o l’olfatto potevano darmi un’idea di quello che era l’università. L’università avveniva unicamente nel mio intentare e per concepirla così, dovevo far uso di tutto quel che io sapevo come persona civilizzata, in maniera cosciente o subliminale.
Il fatto energetico che l’universo fosse composto da filamenti luminosi diede origine alla conclusione a cui arrivarono gli sciamani: ogni filamento che si estende infinitamente è un campo di energia. Osservarono che i filamenti luminosi, o meglio i campi di energia di tale natura, convergono e passano attraverso il punto di incastro. Poiché determinarono che il volume del punto di incastro era equivalente a quello di un pallina da tennis, solo un numero definito, anche se estremamente grande, di campi di energia converge e passa attraverso questo punto.
Quando i veggenti del Messico antico videro il punto di incastro scoprirono che l’impatto dei campi di energia che passano attraverso il punto di incastro si trasformavano in dati sensoriali. Tutto ciò era poi interpretato come la cognizione del mondo della vita quotidiana. Gli sciamani spiegarono che l’omogeneità della cognizione tra gli esseri umani era dovuta al fatto che il punto di incastro di tutta la razza umana fosse situato nello stesso posto delle sfere energetiche luminose che siamo: all’altezza delle scapole, alla distanza di un braccio dietro di loro e contro il bordo della sfera luminosa.
Fu il “vedere-osservare” il punto di incastro, che portò i veggenti del Messico antico a scoprire che esso cambiava di posizione nella condizione del sonno normale, o sotto estrema fatica, o nella malattia o quando si ingerivano piante psicotropiche. Quegli sciamani videro che quando il punto di incastro si trovava in una nuova posizione, un asse differente di campi di energia passava attraverso di lui, forzando così il punto di incastro a diventare lui stesso campo di energia in dati sensoriali, e ad interpretarli, dando come risultato un vero nuovo mondo da percepire. Quegli sciamani sostennero che ogni nuovo mondo che sorge in questa maniera è un mondo onnicomprensivo, differente dal mondo quotidiano, però estremamente simile a lui per il fatto che in esso si potrebbe vivere o morire.
Per gli sciamani come don Juan Matus, l’esercizio più importante per l’intento implica un movimento volitivo del punto di incastro per raggiungere punti predeterminati nel conglomerato totale del campo di energia che compone l’essere umano. Attraverso migliaia di anni di investigazione i veggenti del lignaggio di don Juan scoprirono che esistono posizioni chiave nella totalità della sfera luminosa che rappresentano un essere umano, dove si può situare il punto di incastro e dove il bombardamento risultante dei campi di energia su di lui può produrre un nuovo mondo, completamente vero.
Don Juan mi assicurò che era un fatto energetico e che la possibilità di viaggiare a qualunque di questi mondi o a tutti loro, era talento di tutti gli esseri umani. Disse che questi mondi erano lì per essere interrogati, come se fossero domande che desideravano essere formulate e che tutto quello che il veggente o l’essere umano avevano bisogno per contattarle era intentare il movimento del loro punto di incastro.
Un altro argomento relativo all’intento però trasportato a livello dell’intento universale, era per gli sciamani del Messico antico, il fatto che l’universo stesso ci spinge continuamente e ci mette a prova. Per loro era un fatto energetico che l’universo, in generale, fosse uno dei  massimi predatori, ma non nel senso in cui intendiamo il termine: l’atto di saccheggiare o rubare, di ferire o di sfruttare gli altri per raggiungere il proprio guadagno. Per gli sciamani del Messico antico, il senso di essere predatore per l’universo implica l’intento che esso sta costantemente mettendo a prova la coscienza. Essi videro che l’universo crea un numero inconcepibile di esseri organici ed inorganici. All’esercitare pressione su tutti loro, l’universo li forza a incrementare la loro coscienza, e tratta così di farsi cosciente di sé stesso. Nel mondo cognitivo degli sciamani, la coscienza è l’obiettivo finale.
Don Juan Matus e gli sciamani del suo lignaggio consideravano la coscienza come l’atto di stare deliberatamente consapevoli di tutte le possibilità percettive dell’essere umano, non solo delle possibilità percettive dettate da qualunque cultura, il cui ruolo sembra essere quello di restringere la capacità percettiva dei suoi membri. Don Juan sosteneva che il fatto di lasciare andare o liberare la totale capacità percettiva degli esseri umani non interferiva assolutamente con la loro condotta funzionale. Anzi, la condotta funzionale diventava un fatto straordinario perché acquistava un nuovo valore. In questo senso la funzione si trasforma in una esigente necessità. Liberi da idealismi o da pseudo-mete, l’uomo userebbe la funzione come una forza che lo guida. Gli sciamani chiamano tutto questo impeccabilità. Per loro essere impeccabili implica fare tutto al meglio. Compresero la funzione osservando il flusso che si dava nell’universo. Se l’energia fluisce nell’universo in una certa maniera, seguire il flusso dell’energia, diventa per loro, essere funzionali.
La funzione è il comune denominatore per mezzo del quale gli sciamani si confrontarono con i fatti energetici del loro mondo cognitivo. L’esercizio continuo di tutte le unità della cognizione degli sciamani permise a Don Juan e a tutti gli sciamani del suo lignaggio, di arrivare alle strane conclusioni energetiche che a prima vista appaiono essere pertinenti solo a loro  e alle loro circostanze personali, però all’esaminarle minuziosamente, possono applicarsi a chiunque di noi. Secondo Don Juan, il culmine della ricerca di uno sciamano è qualcosa che lui considerava il fatto energetico più essenziale, non solo per i veggenti, ma per ogni essere umano sulla terra. Lo chiamava il viaggio definitivo.
Il viaggio definitivo è la possibilità che la coscienza individuale, ampliata fino al limite della adesione dell’individuo alla cognizione degli sciamani, potrebbe arrivare oltre il punto in cui l’organismo è capace di funzionare come un’unità coesiva, cioè, oltre la morte.
Questa coscienza trascendentale fu compresa dagli sciamani del Messico antico, come la possibilità che la coscienza degli esseri umani potesse andare oltre al conosciuto per arrivare, in questa maniera, al livello dell’energia che fluisce nell’universo. Per gli sciamani come don Juan Matus, la ricerca consisteva in diventare alla fine, un essere inorganico, cioè energia cosciente di sé stessa, agendo come un’unità coesiva però senza un organismo. Chiamarono questo aspetto della cognizione libertà totale, uno stato in cui esiste la coscienza, libera dalle imposizioni della socializzazione e dalla sintassi.
Queste sono le conclusioni generali che si sono estratte a partire dalla mia immersione nella cognizione degli sciamani del Messico antico. Alcuni anni dopo la pubblicazione di “Gli insegnamenti di Don Juan, una forma yaqui di conoscenza” mi resi conto che quel che don Juan mi aveva offerto era una rivoluzione cognitiva totale. Nelle mie opere successive ho cercato di dare un’idea dei procedimenti per effettuare questa rivoluzione cognitiva. Don Juan mi stava facendo familiarizzare con un mondo vivo e i processi di cambio in tale mondo, non cessano mai. Per cui, le conclusioni sono solo dispositivi mnemotecnici, o strutture operative, che servono come trampolini per saltare verso nuovi orizzonti di cognizione.

Carlos Castaneda


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